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La siccità mette a rischio il 33% del Made in Italy

La grave siccità che sta colpendo lo stivale (e in particolare il Nord) sta stravolgendo completamente la dieta mediterranea, mettendo a rischio un terzo del nostro Made in Italy a tavola. Non è strano pensarlo, considerando che la Pianura Padana concentra la metà dell’allevamento e della produzione nazionale.

Gli effetti negativi della carenza di acqua sono incalcolabili, e toccano ambiti come la salute che di primo acchito sembrano inaspettati.

Da alcune analisi e ricerche sappiamo che il livello idrometrico del fiume Po è sceso a -3,7 metri su livelli più bassi da almeno 70 anni. Ma non è solo questo a preoccupare produttori e consorzi, perché un ruolo altrettanto pericoloso è ricoperto dal movimento di acqua dal mare verso l’entroterra attraverso vie sotterranee (cuneo salino).

Dal monitoraggio costante si evidenzia che è in sofferenza anche il Lago Maggiore con un grado di riempimento del 22,7% così come quello di Como (al 30,6%), mentre sui ghiacciai del Trentino è stata misurata una quantità di neve compresa tra il 50% e il 60% rispetto al valore medio degli ultimi decenni.

Siccità: cosa succederà

Se ne parla da ormai più di un anno: l’allarme lanciato da Coldiretti segnala che a oggi esistono più di 300 mila aziende agricole e di allevamento in piena difficoltà.
Dal grano duro per la pasta al pomodoro, passando per il mais, la frutta e i grandi formaggi come il Grana Padano. Insomma, una buona fetta del nostro patrimonio enogastronomico è messo a rischio dal deficit idrico del 40% in tutto il Nord Italia.

L’anno scorso abbiamo perso il 90 per cento del riso a causa della siccità. Non era mai successo. Il futuro del riso è a rischio” dice la famiglia Carenzio, che da tre generazioni coltiva e produce riso in provincia di Pavia. Questo è un esempio reale, ma il problema non si limita solo al settore agroalimentare, anzi la conseguenza della crisi climatica si estende anche a casi di zoonosi e malattie trasmissibili.

Ce lo conferma il report del WWF del 2020: alle ondate di calore inaspettate e tempeste più frequenti, inondazioni gravi e siccità si associa un aumento delle malattie trasmesse da cibo e acqua sempre più contaminati. L’impatto toccherà anche settori socioeconomici e biologici, mettendo a rischio individui più vulnerabili ed emarginiate.

La soluzione: il piano “Laghetti”

Un obiettivo molto attuale ma proiettato al futuro è quanto è emerso dal Forum Globale per l’Alimentazione e l’Agricoltura tenutosi a Berlino il 21 gennaio 2023.
L’operazione fondamentale deve riguardare e mettere in sicurezza tanti i piccoli quanto i medi produttori del settore agroalimentare, dato che il mondo (in particolare l’Italia) sta affrontando una delle peggiori crisi dalla Seconda Guerra Mondiale in poi; stiamo parlando di una stima di danni per 6 miliardi di Euro solo nel 2022).

A tal proposito, una soluzione al problema causato dalla siccità è stata pensata da Anbi (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari), presentando il cosiddetto “Piano Laghetti”: un progetto che si stima creerà 16.000 posti di lavoro e la bonifica di intere aree una volta dismesse. Si punterà quindi all’impiego dei margini dei fiumi che con la piena sommergono le cosiddette “case di espansione”, generando laghetti veri e propri da usare come bacino in caso di carenza idrica per l’irrigazione dei campi.

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